…La stessa tinta avevano l‘alba e le rose,
una sola rugiada, lo stesso apparire,
in un limpido cielo lo stesso progredire,
ad una stessa padrona un solo servire:
fu Venere, incantevole dea,
a volere che alba e fiore
dessero alla luce lo stesso colore.
Forse accadeva che come tendevano
allo stesso nitore, così spargessero
lo stesso alone di squisito profumo.
Quello così delicato delle rose (noi le toccavamo
con le dita) lo si sentiva davvero;
ma quello che l‘alba ormai fulgente
sparse nell‘aria, a terra non giungeva.
I bei boccioli erano già sul punto
di sgranarsi e stendere le loro ali:
uno di questi era piccolo e tenero,
ancor racchiuso sotto la sua verde corolla;
l‘altro mostrava il capo scoperto,
la cui vetta sottile era tinta di rosso;
da quello sorse per prima la rosa;
ma questo, districando con garbo
le pieghe minute del suo vestiario,
per far contemplare il suo nuovo aspetto,
in pochi istanti, si fece rosa piena,
e sfoderò la sfoggia divina
del suo bóssolo: il granello dorato
della semenza era nel folto
infitto così da far apparire più bello
il delicato porpora di quel fiore egregio.
Ma la bellezza, sin allora tanto vagheggiata, in pochi
istanti impallidì e rinsecchì,
e parve a tutti tramutata nella metà di se stessa.
Dinnanzi ad un tal misfatto, mi lamentai del Tempo,
che mi parve troppo veloce e volubile.
E così dissi: «Ahimè! Ancor non son nati,
questi bei fiori, e già appassiscono!»
Tratto da: Bonaventure des Périers (1498-1543/4) in “Elogio della rosa” cit., pp. 51-2, trad. di Carla Poma
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